mercoledì 23 dicembre 2009

RIFONDAZIONE ECONOMISTA

Il mondo "globalizzato" dei primi secoli dopo Cristo condusse alla frantumazione e al successivo crollo dell'impero romano.Seguirono secoli di guerre tese alla conquista territoriale (il cosiddetto Medio Evo) come dei luoghi strategici per il dominio via mare dei commerci (dal 1500 al 1800).I diversi periodi portarono alla ribalta poteri e sistemi economici (Stati) non troppo dissimili tra loro se non nel luogo finale di incameramento de benefici economici.La penultima "globalizzazione", fine XIX°, inizio XX° secolo, figlia dell'era industriale avviata dalla scoperta del cavallo vapore e dalle successive teorie economiche (Ricardo, Adams, Proudhon e Marx per citare i più noti) terminò in una catastrofica resa dei conti (Prima e Seconda guerra mondiale) che per la prima volta produsse un confronto netto tra due sistemi economici in apparenza inconciliabili (capitalismo e comunismo).La caduta del sistema comunista aprì una fase di nuova "globalizzazione", energetica e finanziaria, la cui bolla speculativa è esplosa sotto gli occhi di tutti con la sua inadeguatezza economica oltre che morale e etica. Se la storia economica ci ha insegnato che nel corso dei secoli il potere economico si è andato sempre più ripartendo in classi sempre più numerose (dall'impero ai reami, dall'aristocrazia alla borghesia economica e commerciale) l'ultima globalizzazione, tendente a riportare il potere in mano a una ristretta oligarchia finanziaria, ha fallito il suo obiettivo storico, non solo quello pratico.L'ipotesi di "riorganizzazione" dei sistemi economici proposta dal recente G2 svoltosi nella kermesse di Copenhagen regitra una nuova incompatibilità: da un lato la Cina tende ad uno sviluppo industriale caratteristico dell'economia classica (sovra-produzione e grande utilizzo di forza lavoro), dall'altro gli USA promuovono una riconversione "verde" (minor produzione, riduzione dell'impatto ambientale, tecnologia applicata) coerenti con le proprie politiche sociali interne ma, entrambe, non in grado di promuovere un nuovo modello economico.Il Potere, nel frattempo, è ampiamente dibattuto, sia tra le forze economiche (industria), finanziarie (banche, fondi di investimento) e sociali (piccola e media borghesia) che tra quelle istituzionali (esecutivo, legislativo e giudiziario), con continue tensioni che certo non contribuiscono ad una ripresa che porti beneficio a chi ha maggiormente sopportato i danni della recessione in corso (classi meno abbienti).Il rischio che si palesa è di una contrapposizione violenta tra un ceto popolare impoverito (l'aumento dei pignoramenti immobiliari ne è un indice preoccupante) e una finanza che spadroneggia senza pietà, senza che nel mezzo esista un Potere politico capace di mediare le rispettive necessità ed esigenze.In una siffatta situazione l'errore più grave che si possa compiere - e che si compie - è cercare nella storia del pensiero economico una teoria applicabile al contesto attuale: da qualsiasi parte si guardi il problema ogni teoria presenta "vulnus" pericolosamente elevati.Stabilito che il "mercato" non ha in sé la capacità di autoregolarsi, stabilito che le teorie keynesiane della spesa pubblica mal si conciliano con le necessità dell'erario, stabilito che nessuna "globalizzazione" consente uno sviluppo armonico e stabilito, infine, che il volano delle economie nazionali è il ceto medio (come fu negli USA e in Europa nel dopoguerra e come è oggi in India, Brasile e Cina) non si può non chiedere alla politica, e al pensiero economico che ad essa sottende, una riflessione profonda - e rapida - per lo sviluppo di un nuovo, qualora non innovativo, modello sociale.Alla politica si deve chiedere un'idea capace di sostenere la piccola e media impresa, di avviare forme occupazionali che implichino la partecipazione dei lavoratori all'impresa, con un sistema erariale che favorisca e stimoli il reinvestimento degli utili in attività produttive e operative.Continuare sulla falsa riga delle teorie economiche storicamente note non porterà ad alcun miglioramento.
Gilberto Borzini

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