martedì 1 febbraio 2011

IL DILEMMA FORMATIVO

Con il 29% di disoccupazione giovanile l'Italia ha raggiunto un non invidiabile primato. A poco valgono gli inviti della Ministra Meloni a ridimensionare le aspettative, ad accontentarsi, ad accettare gavetta e apprendistato, ovvero le parole della Meloni sarebbero corrette se non esistesse un pauroso "gap" tra percorsi formativi e necessità d'impresa. Provo a spiegarmi.
Quelli della mia generazione (e delle generazioni limitrofe) sono cresciuti in un mondo che o non c'è più o va rapidamente scomparendo.
C'era il telefono di bachelite, oggi ci sono gli applicativi del'Ipod che, tra le altre cose, funziona anche come telefono.
C'era la pellicola, oggi il digitale, e c'è photoshop 5 che trasforma integralmente la fotografia di base trasformando la fotografia in fotopittura.
C'erano i giornali, oggi internet che rielabora il format e le modalità esperienziali della lettura.
C'era la firma del cassiere, oggi il PIN che consente un'infinità di applicazioni esenti da manualità terze.
C'era il maglione della nonna, oggi il pile traspirante.
C'erano le mappe, oggi il navigatore elettronico.
C'era lo statuto dei lavoratori (1974), oggi ....?
In pratica quasi nulla di ciò che ci apparteneva è rimasto e i mezzi di comunicazione sono cambiati più di tutto il resto.
Quando parliamo di "mercato della conoscenza" dovremmo avere chiaro il fatto che l'innovazione ha sì bisogno di conoscere la storia, gli archetipi dei suoi processi, ma ha soprattutto bisogno di sperimentarsi nel nuovo, nell'oltre.
La nostra modalità formativa, scolastica, universitaria ed extra scolastica, soffre, e non poco, di buona conoscenza storica e di carenza di innovazione.
Quando parlo di change-management agli allievi aziendali scorgo stupore e sorpresa, quando non fastidio.
Predisporre l'azienda al cambiamento vuol dire innanzitutto prevedere e immaginare il cambiamento, le forme che assumerà, i modelli che prenderà a riferimento, le conseguene organizzative, le derive commerciali e ii modelli di informazione e comunicazione ad essi collegati.
L'amministratore delegato di Sony afferma "non creiamo prodotti, creiamo mercati". E ha ragione.
Dal walkman alle play-station Sony ha creato mercati di consumo planetario, e già che c'era si è inglobata Time Warner e Metro Goldwin Mayer.
Micro-Soft assume quel nome per combattere il gigante IBM, specializzato nei Macro-Hardware. E vince.
Apple a sua volta supera Microsoft inventando l'Ipad, con annessi applicativi gratuiti.
Tisco assume specialisti in Lituania. A Bangalore (India) si gestisce l'amministrazione informatizzata del mondo, compresa quella delle banche svizzere.
In un regime di cambiamento costante l'attenzione procede di pari passo con la fantasia e la creatività, con la capacità di affrontare un "problema" da punti di vista inconsueti  che potrebbero rivelarsi corretti nell'immediato futuro.
I cambiamenti, anche radicali, avvengono e in qualche modo bisogna che i soggetti vi si adattino, pena l'esclusione sociale.
Rispetto ad altri Paesi in cui la presenza giovanile è determinante, l'Italia ha una massiccia prevalenza di anziani, di per sé poco inclini al cambiamento, tanto meno all'innovazione. E spesso sono quegli anziani che "trasmettono" la conoscenza ai giovani. Ma quale conoscenza ?
Rivedere allora i programmi e i processi formativi diventa un obbligo se vogliamo dare davvero opportunità di impiego ai nuovi entranti, così come se desideriamo rimodulare le competenze dei colletti bianchi che a cinquant'anni rischiano seriamente di vedere compromesse le proprie certezze lavorative.
Ricordo un corso per dipendenti di una grande società pubblica dell'informatica lombarda dove invitai a parlare un web-manager appena rientrato in Italia da un conferenza tenutasi a San Francisco sui sistemi di sicurezza della rete. Se avessi invitato un marziano il risultato sarebbe stato identico. La platea non conosceva l'abc della problematica e non ne individuava la potenzialità esplosiva che ad esempio Wikileaks ha evidenziato.
Se appare chiaro alla "politica" che l'impresa produttiva da tempo si è spostata in centri di costo minimo, meno chiaro appare il fatto che i modelli formativi debbano essere adeguati (up-graded, direi) al mutamento intervenuto e, soprattutto, ai mutamenti in arrivo.
E' evidentemente un approccio culturale e sistemico in cui c'è bisogno di dismettere le abitudini e immaginare il nuovo.
Esistono montagne di "corsi" che si editano da anni, spesso più utili a retribuire formatori e organizzazioni certificate che non a dare davvero strumenti formativi ai discenti, magari anche utili alle imprese per parcheggiare dipendenti, ma una cosa è la gestione "politico-sindacale" della formazione e altra è un'organizzazione capace di dare strumenti di conoscenza.
Se vogliamo davvero partecipare il "mercato della conoscenza" c'è molto, molto da fare.
 

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