Adesso tocca alla Siria. 20 morti ieri, e un governo terrorizzato che promette riforme. Anche la Giordania è in rivolta, come lo Yemen, come Djibuti, come negli Emirati. Come prima la Tunisia, l'Egitto e in queste ore la Libia. Troppo comodo far finta che si tratti di movimenti spontanei. La domanda "chi da armi e soldi ai rivoltosi?" continua a non trovare risposta, ma una risposta c'è e indica al di fuori di ogni ragionevole dubbio uno Stato molto ricco che utilizza un'organizzazione capillare e autorevole nell'ambiente e nei territori in rivolta. Lo Stato ha interesse ad assumere il controllo dell'energia e dei canali di traffico delle merci , mentre l'organizzazione capillare e autorevole ha per obiettivo il controllo politico dei territori in rivolta. L'esperienza algerina dello scorso decennio insegna che quando si introduce la democrazia in un ambiente islamico le elezioni vengono vinte dai rappresentanti più agguerriti dell'islam. Questa è la prospettiva. Con un mediterraneo meridionale orientato al fondamentalismo, con un medio oriente dove la tregua con Israele, garantita nel tempo dai vari tiranni spodestati, verrà a cessare. La cautela americana, i silenzi prolungati di Russia e Cina, il disaccordo tedesco, il silenzio totale iraniano, sono tutti elementi che indicano una situazione di attesa e di tensione. A poche centinaia di chilometri dalle nostre coste si sta giocando la partita delle partite, la spartizione del mondo. E in assenza di valide analisi geopolitiche e di risposte adeguate il prossimo obiettivo, gioco forza, sarà la conquista dell'Europa: una conquista commerciale, facilitata da un rapido e progressivo strangolamento energetico, poi culturale, infine religiosa.
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