domenica 19 settembre 2010

cordone ombelicale

Giorni fa parlavo con D.
D è un uomo di 44 anni, non proprio un "pischello".
Mi raccontava di sognare ogni notte sua madre, scomparsa circa un anno fa.
Mi raccontava di sua sorella che dice di parlare con sua madre (in trance) e che la mamma è tanto preoccupata per lui.
Mi diceva che lo conforta il fatto di essere convinto che quando lui morirà potrà riabbracciarla, la mamma intendo.
Ho espresso le mie perplessità.
Se tutti dovessero riabbracciare i genitori, l'altra vita sarebbe una specie di orgia, dove tutti sono abbracciati, fino alla cellula primigenia.
Ovvio: la razionalità nulla può rispetto all'affetto.
Il pensiero laico non sostiene la speranza.
Ma siamo sicuri che si tratti di affetto ? O non è forse paura, intima consapevolezza di debolezza ?
Anche F, una donna che ha la stessa età di D., mi scrive dei suoi genitori, della sua preoccupazione relativa al loro invecchiamento.
Giuste preoccupazioni di una figlia affezionata, o qualcosa d'altro ?
Voglio dire : ma quando crescete, ragazzi ?
Quando decidete di vivere la vostra vita, recidendo il cordone ombelicale, il senso di protezione, l'ombrello perdonatutto dei genitori ?
Non sto dicendo che non bisogna amare i genitori.
Sto dicendo che bisogna imparare a vivere da adulti, acquisendo la propria consapevolezza, la propria responsabilità.
Nuotare nel mare profondo della vita senza bisogno del salvagente con l'ochetta.
Si fa un gran parlare di "mammoni" trentenni, ma le conversazioni con D e le lettere di F mi fanno pensare che il processo di "mammonismo"  sia un processo di lunga data, forse alla base del perenne sonnambulismo sociale italiano, fonte della sindrome di Oblomov che sembra attecchire in maniera prodigiosa lungo la penisola.
Il "Mammonismo" si è interrotto in Italia per un breve, laconico, istante: figlio delle letture on-the-road, di una politica "sovversiva" che rinnegava il padre, delle poesie di Corso, delle canzoni di Dylan, delle Opinioni di un Clown scritte da Enrich Boll, delle canzoni di Gaber.
Ma è stato un istante. Un istante sociale.
Un istante che ha coinvolto i nati negli anni '50.
Poi "puff !", l'istante è sfumato, volatilizzato come un peto in una giornata di vento, e la società italiana è tornata a rinchiudersi nel caldo e soffocante abbraccio delle mura domestiche, degli agnolotti della domenica, delle partite a carte dopo il panzo di Natale, nella Tombola di Capodanno, nella rete asfissiante delle telefonate di mammà proprio mentre stai sedendoti a tavola, nei chiacchiericci dei telefonini per sapere come stai, hai mangiato, che tempo fa, ti diverti ?
Una rete ipnotica dove l'affetto è prigionia, dove la libertà è sempre condizionata, dove non si sceglie di vivere ma si resta a un tiro di schioppo dalla caverna originale.
Ovvio che una società simile non abbia alcuna possibilità di crescita.
Ovvio che il "tengo famiglia" si traduca in familismo, in nepotismo, in raccomandazione, alla faccia della meritocrazia.
Confondere l'Amore con il Condizionamento è il cancro della società italiana, il suo limite iniziale allo sviluppo; sviluppo che è in primo luogo delle coscienze, non della tecnologia.
Se il "west" avesse dovuto essere conquistato dagli italiani sarebbe ancora popolato da bufali e da Sioux.
Magari non sarebbe un male, ma la storia è andata diversamente.
La Storia è dinamica.
La "famiglia", intesa italicamente, è estremamente statica.
La rete delle famiglie è una palude di sabbie mobili, il compromesso dell'accomodamento che non consente di volare con le proprie ali.
La "famiglia", così intesa, è il vero problema della crescita di questa, nostra, società.
 
 

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