Pochi anni or sono l'ex cancelliere tedesco Schroeder, terminato il suo percorso politico, accettò l'incarico di amministratore delegato di una società russo tedesca, a maggioranza Gazprom, incaricata di sviluppare il progetto del gasdotto baltico, un progetto che scavalcando la Polonia e l'Ukraina, territori non sempre favorevoli alla politica di Mosca, porterà la Germania ad essere la testa di ponte dell'energia per l'intera vecchia Europa continentale.
E' noto che l'ingresso di Romania e Bulgaria nell' U.E. ha per fondamento il controllo dei gasdotti che, dopo avere attraversato il Mar Nero, raggiungono i confini orientali dell'U.E..
Il benestare tedesco all'ingresso in U.E. dei paesi balcanici, non propriamente noti per efficienza industriale ed economica, arrivò dopo che alle imprese tedesche furono assegnate le cantierizzazioni dei progetti e i relativi accordi di partnership strategiche inter governativi, che poi vuol dire il controllo dei rubinetti del gas a favore di Bonn.
Anche in quell'occasione fu Schroeder, allora cancelliere, a pilotare gli accordi politici.
Sul fronte dell'accesso energetico meridionale molto si è dibattuto relativamente all'ingresso o meno nell'U.E. della Turchia.
Al di là dei dibattiti surreali relativi allo status costituzionale o religioso di Ankara o sul rispetto dei diritti umani, dove per l'Occidente Ankara è sempre la protagonista del drammatico film "fuga di mezzanotte" che consiglio vivamente di rivedere, la contrarietà tedesca deriva dal non voler integrare un possibile competitor energetico, visto che l'Anatolia diventrebbe il "gate" di ingresso energetico dall'Iran e dal vastissimo territorio turcomanno, kazako e uzbeko in cui si stanno svolgendo drammatiche lotte di potere tenute graziosamente sotto silenzio dalle diverse stampe governative occidentali.
L'accordo italo-libico, approvato in Parlamento da PDL e PD congiuntamente, con il forte sostegno di D'Alema, segna l'ingresso dell'Italia nel business vero dell'energia.
Ed è un business che ha avuto bisogno dell'autorizzazione di Mosca, attuale fornitore primario di energia per l'Italia, e dell'amicizia di Ankara.
Berlusconi ha una montagna di difetti ma le relazioni intessute con Putin, Medvedev, Gheddafi e Recep Tavviv Erdogan (a cui è rimasto in mano il cerino esplosivo del posizionamento strategico di Ankara nel complesso scacchiere medio orientale ed europeo) hanno portato ad un risultato.
Che sia poi un risultato apprezzabile è tutto da dimostrare.
L'accordo con Tripoli, diversamente dalla partnership Bonn-Mosca, implica infatti una netta "mediterraneizzazione" dell'Italia, avvicinandola bruscamente all'Africa e distanziandola dalla Mittel Europa che per anni ha rappresentato l'obiettivo di integrazione italiana con l'U.E.
L'accordo favorisce l'ingresso dei capitali libici nelle operazioni industriali e finanziarie italiane di carattere strategico, impone la costruzione di infrastrutture pesanti sul territorio libico con oneri esclusivamente italiani, modifica di fatto la strategia politica ed economica nazionale imponendo un occhio di riguardo più alle motivazioni della Lega Araba che non a quelle della Nato, con tutte le conseguenze che questa drammatica virata può comportare.
Una virata che, rispetto alle relazioni intra europee e atlantiche, potrebbe tradursi in una "scuffiata", con relativo rischio di affondamento del vascello italico.
Ancora, diversamente dall'accordo stipulato tra Schroeder e Putin che è in definitiva un accordo paritetico, quello siglato tra Berlusconi e Gheddafi definisce una netta prevalenza del secondo rispetto al primo, come a dire che da ieri Tripoli tiene l'Italia per la gola, ed è libera di aumentare o ridurre la pressione sulla carotide a proprio piacimento.
Per ora Gheddafi si è limitato a qualche sceneggiata di prova, mettendo a dura prova le consuetudini della diplomazia e le redazioni filo governative, impegnatissime a trasformare il despota di Tripoli nel brutto anatroccolo della famiglia degli angeli.
Ma l'uomo è istrionico e volubile, e non sembra saper porre limiti alla propria tracotanza, specialmente quando sa che l'interlocutore ha le brache calate e il cappello in mano.
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