Per chi è nato negli anni '50 gli anni '70 hanno segnato il discrimine, il limes, il confine della storia personale, tracciando la demarcazione tra il di qua e il di là.
Allora come oggi si assisteva ad un diffuso malcontento: erano anno di svalutazione competitiva, di crisi petrolifera, di grandi cambiamenti nell'economia planetaria, di guerre guerreggiate tra Israele e paesi Arabi, tra USA e Vietnam. La disoccupazione giovanile era elevatissima, inclusa quella intellettuale.
Lo scenario attuale richiama fortemente quegli anni e oggi come allora sono sufficienti i pretesti, al di là delle motivazioni razionali, per scatenare la protesta e le forme di violenza, di diversa dimensione, che a quella si accompagnano.
L'immodificabilità dell'agire politico degli anni '70 culminò con il sacrificio di Aldo Moro.
La sordità del potere attuale non promette nulla di meglio.
La vera differenza, tra i due decenni, è che allora il PCI era governato da Berlinguer e la CGIL da Lama: l'opposizione aveva idee e progetti, aveva un disegno di società, e i sindacati facevano il loro mestiere a sostegno dei lavoratori, meno connessi rispetto ad oggi a speculazioni immobiliari, meno collusi a pastrocchi di potere, meno alleati delle controparti.
Insomma, c'era un di qua e un di là: c'era un "bipolarismo", anche se espresso da una nutrita serie di partiti.
Gli anni di piombo, si sa, non portarono a nulla. Nessuna rivoluzione, senza il sostegno di ampi strati popolari, si risolve a favore dei rivoluzionari.
Oggi osserviamo un potere più consolidato di allora, con l'alleanza Berlusconi-Bossi ancor più saldamente in testa nei sondaggi, capace di un 43% complessivo al netto del premio di maggioranza.
Per converso il PD non sa proprio che pesci prendere: emotivamente orientato verso una sinistra affabulatrice, poetica, sognatrice quanto priva di schemi economici capaci di modificare l'andamento, in grado di riproporre il sogno di Obama in versione "cime-di-rapa" ma non di tenere i conti in ordine, il PD di Bersani dirige il timone verso il centro con un progetto di pentapartito che abbiamo già visto, purtroppo, ai tempi di Craxi-Andreotti-Forlani.
L'assenza di progetti, di idee, di proposte, di soluzioni politiche e economiche del PD è il vero vulnus, il vero problema della società italiana odierna.
La spocchia degli intellettuali d'area, perfettamente incapaci di comprendere la pancia dell'elettorato, della società, del popolo italiano, segna il tasso di decrescita dei consensi al PD e favorisce, di conseguenza, il centro destra.
L'uscita dei finiani dal governo, intellettualmente apprezzabile se fosse avvenuta dieci anni prima, polarizza il voto a favore di chi al governo c'è.
Domani gli studenti protesteranno contro il cambiamento, a sostegno dello status quo di un'università da bruciare.
E' un pretesto, non una motivazione.
E come i loro padri si scaglieranno contro i simboli del potere, fermo restando che non si aggredisce il poliziotto ma la divisa, il simbolo che indossa.
E ricominceranno i piagnistei dei corifei dei vari poteri, dei senza se e senza ma, dei né con tizio né con sempronio.
Tutto già visto.
La storia si ripete.
Con una grande differenza: negli anni '70 in piazza scendevano studenti e operai.
Oggi gli operai non sono più al centro dell'organizzazione produttiva, anzi vengono svalutati, isolati, decimati, impoveriti.
E gli studenti, da soli, non bastano neppure a far rizzare i capelli al potere.
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