Molti amici mi interrogano sul complesso rapporto tra Italia e Vaticano,un rapporto in cui spesso l'ingerenza di Oltre Tevere negli affari interni della politica nazionale italiana è considerata eccessiva.
Come noto lo Stato Italiano nasce come realtà anti Vaticana. Le guerre risorgimentali, concluse con la conquista di Roma, sono essenzialmente guerre di conquista dei territori, dei beni e del potere Vaticano.
Cavour, liberale e massone, era scomunicato e, come lui, molti altri ministri e capi di governo italiani fino al 1929.
Mussolini, con il Concordato, paga al Vaticano 750 miioni di lire (di allora) per i danni di guerra subiti dal papato, introduce nelle scuole del Regno e nei tribunali il simbolo della Croce, fino ad allora assente, e l'ora di religione con docenti retribuiti dallo Stato Italiano.
L'idillio tra Chiesa e fascismo dura fino alla fine della II guerra mondiale, dopo di che il Vaticano ottiene che la Costituzione repubblicana faccia proprio il Concordato.
Nel 1985 il socialista Craxi, grande contributore di Solidarnosc, sigla il nuovo Concordato, che regala al Vaticano l'8 per mille e una vasta serie di agevolazioni fiscali sul territorio nazionale.
Storicamente, quindi, il rapporto tra Vaticano e Italia è piuttosto articolato.
Paolo VI aveva affidato le materie di rilevanza religiosa della politica italiana alla Conferenza Episcopale; Ratzinger ha affidato al Cardinal Bertone, segretario di Stato della Santa Sede, gli stessi compiti, esautorando la CEI governata da Bagnasco e trasferendo i rapporti con l'Italia dal piano etico-religioso (CEI) a quello della politica estera (segreteria di Stato).
I riflessi sono stati immediati, visto che la Segreteria di Stato ha come organo di informazione l'Osservatore Romano, mentre la CEI si basa su l'Avvenire.
L'Osservatore elogia l'attuale governo italiano, la CEI lo critica aspramente.
Al di là di questi elementi, comunque utili per comprendere lo stato delle relazioni, entrambi i contendenti affrontano una medesima crisi.
La Fede è ai minimii storici (il 37% degli italiani si dichiara praticante, ma ben pochi si adeguano alle indicazioni etiche e morali impartite dalla Chiesa).
Il relativismo culturale ha determinato la drastica diminuzione del senso di appartenenza e di indentità collettiva, sia nella Chiesa che nello Stato, favorendo lo sviluppo di egoismo, individualismo e materialismo, ovvero di etiche oppositive rispetto alla "triade" Dio-Patria-Famiglia storicamente determinata come collante popolare.
Dal dopo guerra in poi Santa sede (per bocca della DC) e PCI si sono scontrate nella ricerca del consenso "sullo stesso mercato".
Entrambi i contendenti, infatti, si rivolgevano alle masse popolari.
Con la caduta del Muro di Berlino, la scomparsa del comunismo, la socialdemocratizzazione del PCI, l'unica "forza" di ispirazione socialista e popolare è rimasta la Chiesa, forte del fatto che la proposta cristiana originaria è decisamente comunisteggiante (gli ultimi saranno i primi, socializzazione dei mezzi di produzione nelle comunità originarie ecc.).
Ma tutte le forze in campo, Chiesa e partiti populisti, hanno perso il rapporto con il loro "mercato", sostituiti da consumismo e mercatismo.
I partiti politici - tutti, nessuno escluso - sono i più deboli: non prospettano ideologie capaci di smuovere entusiasmi, non hanno idee alternative nella gestione della prassi e della congiuntura, e di conseguenza accettano, quando non ricercano, di buon grado una spalla di sostegno presso la Santa Sede.
Le reciproche debolezze, che sono debolezze di Fede, Fiducia e Carisma, muovono i protagonisti all'alleanza.
Un'alleanza per la sopravvivenza.
In questa fase, più che mai, è impensabile che la politica nazionale si discosti dall'orientamento etico vaticano e il Vaticano, a sua volta, non perde occasione per mostrare la sua forza rispetto alla politica italiana.
A meno che Cavour non risorga dalla tomba, a meno che il Governo non affronti la diplomazia vaticana con le stese logiche con cui affronterebbe un'altra diplomazia estera, ribattendo alle ingerenze estere con azioni diplomatiche durissime fino alle conseguenze belliche di un disaccordo intenso, a meno che il Paese non si trovi di fronte ad una calamità assoluta (invasione, devastazione, guerra) è certamente improbabile che il quadro muti.
Di novelli Cavour all'orizzonte non se ne vedono, quindi restiamo a guardare questa commedia recitata da poteri sempre più deboli, che rendono sempre più debole, frantumata e incerta la collettività.
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