mercoledì 26 maggio 2010

18 ANNI

23 Maggio 1992. Sono passati 18 anni. Quel pomeriggio transitavo in autostrada diretto a Palermo circa 5 minuti prima del Giudice Falcone. 5 minuti che hanno segnato un confine inalterabile. Durante questi diciotto anni ho ascoltato lacrime di coccodrillo, ipocrisie, deposizioni fantasiose, e una montagna di bugie. L'ombra dei soliti "servizi deviati" si affaccia sul precedente tentativo di attentato a Falcone, all'Addaura, e fa capolino sulla detonazione di Capaci. Gli uomini dello Stato di allora sono sotto processo (Mori, il comandante Ultimo), o condannati (Bruno Contrada), o morti (Antonino Lombardo). La questione siciliana, i rapporti dello Stato con le mafie, il valore geo-strategico della Sicilia negli equilibri mediterranei sembrano essere perennemente sospesi nell'incertezza. Un'incertezza non certo etica ma economica, basata sullo scambio tra potere e denaro e tra potere e controllo del territorio. Oggi un governo che credevamo liberale fa man bassa di voti controllati dalle mafie, nello stesso modo della DC di Andreotti e Salvo Lima di venti anni fa. A nulla sembra essere servito - se non al giornalismo retorico e di maniera - il sacrificio di Falcone, di sua moglie e della scorta. A nulla sembra essere servito quello di Borsellino e della sua scorta. A nulla sembrano serviti i sacrifici di tutti gli uomini per bene che hanno combattuto le mafie. Le mafie di oggi, agghindate a festa e rese linde da qualche cosmesi di facciata, che dominano nella finanza e nell'economia, che reggono i fili dei burattini seduti nei consigli regionali. E cosmesi, niente altro che cosmesi, sembrano essere i sequestri dei beni "dei clan perdenti": una specie di bottino di guerra che le organizzazioni "vincenti" cedono allo Stato in cambio di silenzi e coperture, relazioni e consenso. Certo l'etica va perseguita, i sequestri della "robba" sono essenziali, ma troppi sospetti in un paese come l'Italia, si muovono dietro i troppi, troppo ravvicinati, troppo conclamati arresti di "boss" che, a ben guardare rappresentano i clan perdenti delle guerre mafiose. Ci si domanda se lo Stato avrebbe potuto ottenere gli stessi successi senza la presenza di "interessi reciproci" con i clan vincenti. Ci si domanda se il "federalismo" non rappresenti la definitiva cessione alle mafie di quasi metà del territorio nazionale. Cosa che potrebbe anche essere ammissibile col cinismo della strategia politica, ma inammissibile per quella cosa che chiamiamo etica. Gilberto Borzini

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