venerdì 7 gennaio 2011

SFORZO DI IMMAGINAZIONE

Immaginiamo di essere il grande capo di una federazione implosa nel 1989 e sulle cui ceneri si sono costituite alcune delle più forti oligarchie di stampo mafioso che la storia ricordi. La federazione si dissolve, rimane un immenso Stato che per tutti è tra i più ricchi di risorse energetiche e di materie prime.
Ma i capataz delle oligarchie hanno un problemino da risolvere: ripulire gli straordinari proventi derivanti dalla vendita di armi, prostituzione, immensi resorts sorti dal nulla lungo le coste mediterranee, caraibiche e del Mar Nero (resort a 5 stelle che non ospitano un cane ma fatturano sulla carta ottimi esercizi contabili), oppure con quel giochino che consiste nell'acquistare carcasse animali nei balcani, timbrarle con il marchio di prima qualità dell'UE e importarle nel grande stato lucrando non poco, anche se chi poi mangia quella carne può schiattare, o far produrre in India false medicine in apparenza uguali uguali a quelle ufficiali, e immetterle sui mercati amici che tanto di qualche cosa bisogna pur morire.
Immaginiamo di essere il piccolo capo di uno staterello estremamente bisognoso di energia e di materie prime, uno staterello che sa trasformare le materie ma che non ne dispone. Immaginiamo ancora, mi scuso per lo sforzo di immaginazione a cui vi sottopongo, che il capo del piccolo stato disponga tra l'altro di numerose società fittizie sparse tra le isole della Manica, Lussemburgo e altri ospitali e incantevoli paradisi caraibici.
Il grande capo del grande stato e il piccolo capo del piccolo stato si incontrano e nasce una meravigliosa amicizia. Fin qui niente di male.
Ma immaginiamo ancora che immediatamente a sud del grande stato ci siano due grandi sacche di petrolio, entrambe soggette a embargo perché i rispettivi governi sono stati un po' discoli, e che il grande capo del grande stato dia una mano a uno dei due grandi pozzi per mettere insieme qualcosa di atomico che potrebbe essere una centrale o una bomba, tanto si assomigliano e che nell'altro grande pozzo dia un aiutino dall'esterno per far rimanere la situazione molto ingarbugliata, tanto che nessuno ci capisce più una mazza sul chi comanda in quello scatolone sabbioso tra due fiumiciattoli, percorso da militari di ogni sorta.
Immaginiamo allora che i capataz delle oligarchie investano un po' dei loro soldini nell'acquistare sotto banco svariate cisterne di petrolio, che il petrolio navighi attraverso il Mar Caspio, oppure scavalchi le tortuose vie del Caucaso dove in realtà le difficoltà sono non poche, o si imbarchi al confine tra Iran e Turchia, dove notoriamente si perde la Trebisonda, bordeggiando lungo il Mar Nero per raggiungere Odessa o altri porti amici.
Da qui, targato con i vessilli di società particolarmente sodali al grande e al piccolo capo, il petrolio viagga verso lo staterello del piccolo capo, pagato per il valore di mercato, ripulito da ogni cattivo pensiero, così come ripulito è l'investimento operato in origine dai capataz che a quel punto possono tranquillamente depositare i proventi nei depositi più acconci, anche se le zone limitrofe a Piccadily Square sembrano le più gettonate.
Tutti contenti, tutti sorridenti.
Ma, sia chiaro, è stato solamente un esercizio di immaginazione.
Sono quei birbanti dell'Economist o del Financial Times che prendono sul serio certe fanfaronate, forse perchè seccati dal fatto che il giochino non sia in mano loro.
 

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