lunedì 7 giugno 2010

ALBERTO, COSA RESTA DEL TEMPO ?

Ieri sera ho digitato un nome su FaceBook. Ne è uscita una foto in cui gli occhi della persona che cercavo, occhi azzurri, da husky che difende il suo pasto, mi hanno fatto trasalire. Con Alberto abbiamo trascorsi gli anni straordinari dell'adolescenza, anni fatti di musica, di impegno politico, di primi amori, di prime vacanze da soli. Con Alberto, soprattutto, suonavamo: lui era più bravo. La prima esibizione in pubblico la facemmo insieme (tremavo come un girino). A casa sua regnava uno spirito libero, di cultura diffusa ma senza didattica. Sua madre ascoltava Brassens e gli autori francesi. Noi scoprivamo Mozart (infiniti gli ascolti del Don Giovanni) e i Chicago, Hendrix , i Led Zeppelin, Emerson-Lake & Palmer. Cantavamo per strada le canzoni di Battisti e De Andrè a due voci. Scrivevamo canzoni, entrammo insieme in CBS, e in sala di registrazione. Poi la scuola, insolente matrigna, ci divise. Era il 1972. Lui passò al professionismo musicale e io seguii la pedagogia austro-ungarica di mia madre che mi voleva istruito e indifferente al talento, scappando presto nei villaggi Vacanze a fare l'animatore, più bella cosa assà che studiare Kant. Ci ritrovammo una volta, nell'ascensore che conduceva al consolato USA di Milano, era il 1983: io con mia moglie (carinissima, anzi bella), lui con una "cosa" che sembrava uscita da Vogue: lì non sapevamo bene cosa dire, ma si sa che gli ascensori sono inadatti a convenevoli e ricordi. Così sono stato travolto da un torrente di immagini, ricordi, ricordi di emozioni. Avrei voluto scrivergli Ciao Alberto, ti voglio bene ! Ma so che voglio bene al ricordo della nostra amicizia e delle nostre età: quel signore con gli occhi da husky che mi guarda su Facebook potrebbe non avere nulla a che fare con ciò che eravamo, anzi quasi certamente è un altro. Volevo raccontargli con un messaggio cosa mi era accaduto negli ultimi 35 anni, e mi sono accorto che la questione non va posta sul COSA abbiamo fatto, ma sul COSA RIMANE nel nostro spirito delle esperienze che si sono susseguite. Quel che resta del tempo è un film di piccole azioni quotidiane, necessariamente destinate a sbiadire ? Oppure la capacità di condensare le esperienze in un "senso", un'emozione, una filosofia da bar ? Forse le esperienze servono a farci scoprire i nostri punti di forza e di debolezza, ad apprezzare i primi e a superare i secondi. Forse le esperienze servono a definire cosa davvero dia un senso all'essere, non il denaro e neppure la passione, forse la condivisione, la compassione e la serenità. Le esperienze sono un mezzo e non un fine, ma il fine è spesso difficilmente individuabile. Così raccontiamo le esperienze, un modo semplice per apprezzarci o compatirci. Così riesumiamo le esperienze, che ben pochi hanno voglia di ascoltare. Così raccontiamo le esperienze, per illuderci di avere vissuto. Gilberto Borzini

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